La violazione dei diritti umani continua

Dodici stati facenti parte del Consiglio ONU per i Diritti Umani hanno espresso critiche nei confronti della Cina nel corso della Universal Periodic Review, la procedura che esamina il rispetto dei diritti umani all’interno degli stati membri.

Il 5 novembre 2018, a Ginevra, è iniziata la terza sessione della Universal Periodic Review (UPR) – la prima si è tenuta nel 2009 e la seconda nel 2013 -, il gruppo di lavoro composto dai 47 stati membri del Consiglio ONU per i Diritti Umani che ogni cinque anni sottopone tutti i paesi, compresi gli stati membri del Consiglio, ad un esame complessivo della situazione dei diritti umani al loro interno. Nel primo giorno dei lavori, che termineranno il 16 novembre, è stata presa in esame la situazione della Cina.

Dodici stati membri, segnatamente l’Australia, l’Austria, il Canada, la Danimarca, la Francia, la Germania, il Giappone, la Nuova Zelanda, la Svezia, la Svizzera, il Regno Unito e gli Stati Uniti hanno manifestato la loro preoccupazione per la violazione dei diritti umani in Tibet, con particolare riguardo alla violazione della libertà religiosa, della libertà di espressione e di raduno. E’ stato sollevato il caso dell’arbitraria condanna e detenzione di Tashi Wangchuk, sostenitore del diritto dei tibetani a studiare ed esprimersi nella lingua madre ed è stato nuovamente chiesto alla Cina di consentire libero accesso in Tibet alle delegazioni e ai rappresentanti delle Nazioni Unite. Un particolare appello è stato rivolto alla Cina affinché chiuda i campi di ri-educazione politica in cui sono rinchiusi oltre un milione di uiguri della Regione Autonoma Uigura dello Xinjiang. Assieme agli Stati Uniti, tutti i maggiori paesi europei hanno chiesto a Pechino di abolire ogni forma di detenzione arbitraria e garantire la libertà religiosa sia in Tibet sia nello Xinjiang.

Nella fase preparatoria dei lavori della sessione, nove stati membri avevano inviato al gruppo di lavoro della Universal Periodic Review dodici raccomandazioni scritte riguardanti la situazione dei diritti umani in Tibet e nello Xinjiang. Generale è stato l’invito rivolto alla Cina a cessare le limitazioni alla libertà di movimento dei tibetani e degli uiguri, a garantire la libertà religiosa e a porre fine ai processi intentati sulla base delle personali credenze religiose contro musulmani, buddisti tibetani ed esponenti del movimento Falun Gong.

Il 2 novembre, prima dell’inizio della sessione della “Revisione Universale Periodica”, Il Dipartimento Informazioni e Relazioni Internazionali dell’Amministrazione Centrale Tibetana e l’Ufficio del Tibet di Ginevra hanno organizzato un importante convegno denominato: “Ginevra Forum-2018: la situazione dei diritti umani nelle regioni sotto il controllo della Repubblica Popolare Cinese”. Sono stati affrontati, tra gli altri, i temi cruciali della libertà, della sorveglianza, della sicurezza e della censura in Cina, Tibet, Turkestan Orientale, Mongolia del sud e Hong Kong. Esperti nel campo dei diritti umani, studiosi, diplomatici e rappresentanti di tutti i più importanti gruppi impegnati nella società civile si sono riuniti per discutere e trovare il modo di coordinare il loro lavoro al fine di evidenziare presso le istituzioni ONU le responsabilità della Cina nella violazione dei diritti dei popoli sotto la sua giurisdizione. “Il Partito Comunista Cinese è qui, alle Nazioni Unite, è in Europa e di fatto è ormai in tutto il mondo. Delle due l’una: o lo cambieremo o sarà lui a cambiare noi”, ha dichiarato Lobsang Sangay, presidente dell’Amministrazione Centrale Tibetana.

Roberto Moroli